Il presente vive del passato. Anche quando sembra dimenticarlo. La società cerca sempre di esorcizzare paure ataviche e problemi attuali in una sorta di rincorsa all’oblio.
L’incanto di questa installazione sta nel far apparire una foresta di soggetti indefiniti, di sudari avvolti su figure indecifrabili, forse si tratta di realtà impalpabili e provenienti dal profondo. Nell’apparente astrazione si concentra invece un messaggio estremamente forte perché rivela una partecipazione umana sofferente.
La sacralità del luogo spoglio fino all’essenzialità, aumenta la presenza dell’assenza, cioè l’evocazione di quello che non si vede e che viene evocato. Il grande video con una delle sculture, definite “mummie” dall’artista, avvolta in fiamme continue che sembra non debbano mai estinguersi, illumina la scena in modo drammatico.
Il segnale che Giacomo Bonciolini vuole dare sembra alludere al mondo che ci circonda sempre avvolto dalle fiamme delle guerre, sempre in procinto di collassare sotto le spinte all’odio. Ma l’artista non si ferma mai semplicemente a quello che accade nella realtà, ma offre dei messaggi di taglio antropologico dando forma e senso ad archetipi e immagini latenti.
In questo lavoro vi sono tracce della Nachleben (cioè “Sopravvivenza”) di Aby Warburg che non hanno perso la densità oscura della notte, sono tracce o brani (traks) che si conservano nella trasformazione oppure nuance dell’hauntology di Jacques Derrida, inaugurata, guarda caso, da uno studio sugli Spettri di Marx (1994).
Quindi le apparizioni opache ci raccontano di un fantasma al plurale, ontologicamente impuro perché la sua origine è irraggiungibile nella sua interezza e purezza. Ma il ritorno del passato non è mai ritorno al passato. Per fortuna.
Le sculture di Giacomo Bonciolini provengono dalla notte dell’uomo, dalla sostanza psichica che ci coinvolge spesso senza che riusciamo a farne una condizione stabile. Senza quasi riconoscerla. Sono tante. Viene il sospetto che si moltiplichino da sole, che si riproducano in un gioco di specchi incontrollabile. La paura e l’angoscia si amplifica in questo modo.
E dato che nell’artista la componente sonora ha sempre una rilevanza essenziale potremmo essere di fronte ad una fenomenologia progressive, come in “Echoes” (1971) dei Pink Floyd dove tutta la realtà è riverbero, espansione dell’Io nello spazio-tempo, energia fantasma di un universo di cui abbiamo perso la sorgente.
Giacomo Bonciolini assolutizza l’esperienza del soggetto come qualcosa che ha la volontà di andare oltre. L’ottimismo della ragione stempera il freddo di una visione perturbante. Il fuoco mediale del video non scalda, anzi. Le mummie evocano Il fantasma della libertà nel suo eccedere la materia e diventare qualcosa d’altro, per esempio come espressione dell’energia che appare come suono.
È questa che viene reimmessa nell’Universo alla morte delle immagini. Gli spettri, le emanazioni vitali ancora tracciabili, vagano e quelli generati dagli artisti si rinnovano continuamente. L’archeologia preventiva di Bonciolini ha un senso predittivo, vuole annunciare che siamo su di una soglia che non va attraversata. Queste presenze non appartengono a nessuno perché sono di tutti.
La loro esistenza e la loro apparizione resta problematica, ipotetica, un bianco sudario identifica una forma incompiuta, un’energia spirituale che si sostiene sull’esile materia dell’emozione e del dolore. L’immersività nello spazio profondo della chiesa fa restare questa esposizione un’esperienza che collega il visibile all’invisibile, il qui e l’altrove come metafora di una condizione umana attuale drammatica sempre più complessa.